La scoperta del DNA
inserita il 16-01-2022
Gli albori della genetica e della citologia
Introduzione
“ Mendel, Darwin e Morgan non conoscevano la struttura del DNA „
Nel 1865 Gregor Mendel propone le sue leggi della genetica che stabiliscono come geni e alleli vengono trasmessi ai discendenti in un incrocio tra due individui. Un lavoro geniale nella sua semplicità che però non viene accolto e recepito dalla comunità scientifica.
Nel 1859 Charles Darwin pubblica la sua opera fondamentale sull'Evoluzione delle Specie che di contrasto scatena un gran fermento nella comunità scientifica, rivoluzionando l'intera biologia.
La cosa singolare è che i due scienziati giunsero alle loro conclusioni senza avere la possibilità di conoscere l'esistenza della molecola responsabile della trasmissione dell'informazione genetica e della variabilità genetica all'interno delle popolazioni delle specie.
Anche quando nei primi venti anni del '900 Thomas Hunt Morgan e i suoi collaboratori dimostrarono che i geni della teoria mendeliana risiedevano nel nucleo delle cellule in strutture visibili al microscopio ottico: i cromosomi, poco si sapeva del DNA.
Però nei primi anni del '900 la biochimica (e la microscopia, nel 1931 fu sviluppato il primo microscopio elettronico che consentiva di osservare in dettaglio l'interno delle cellule) stava facendo passi da gigante realizzando obiettivi impossibili solo qualche decennio prima.
Vediamo in questa e nelle pagine successive brevemente le principali tappe che hanno portato alla risoluzione della struttura del DNA e soprattutto i due esperimenti che hanno dimostrato che è il DNA e NON le proteine a trasmettere e custodire l'informazione genetica.
La Nucleina
Friedrich Miescher, un chimico e fisiologo svizzero, nel 1869 fu il primo a isolare una sostanza zuccherina, contenente fosfati nel nucleo di cellule del sangue (globuli bianchi). Successivamente isolò la stessa sostanza anche nel nucleo di altri tipi di cellule. Chiamò questa sostanza Nucleina. Fu il primo incontro della scienza con il DNA.
Man mano che si raccoglievano prove sul coinvolgimento del nucleo e dei cromosomi nella trasmissione genetica, la caratterizzazione della misteriosa sostanza interessò e occupò i biochimici per gli anni a venire.
Agli inizi del ‘900 era chiaro che esistessero due molecole diverse con la composizione chimica (zuccheri e fosfati) scoperta da Miescher: il DNA, acido desossiribonucleico e l’RNA l’acido ribonucleico.
Ma bisognerà aspettare il 1953 per la piena caratterizzazione della struttura del DNA ad opera di James Watson e Francis Crick.
La Mitosi
Negli ultimi anni dell'ottocento la microscopia ottica era migliorata a tal punto che si riusciva a discernere le strutture contenute dentro le cellule.
Walter Flemming, un citologo - biologo che studia le cellule - descrisse per la prima volta in modo dettagliato il comportamento dei cromosomi durante la divisione cellulare (mitosi) delle cellule animali.
Il processo di mitosi era già stato osservato da Carl Nageli. Lo scienziato però non era riuscito a cogliere l'importanza della sua scoperta, attribuendola a un processo degenerativo anormale dovuto alla morte cellulare.
Flemming invece, fu il primo a intuire che il processo era legato alla riproduzione cellulare: le sue osservazioni si erano concentrate sulle cellule di salamandra in fase embrionale, cellule in attiva divisione e moltiplicazione. Flemming ideò un sistema di colorazione specifico per i cromosomi per cui poté osservare con precisione i movimenti dei cromosomi durante la mitosi, la loro suddivisione in cromatidi e la migrazione ai poli opposti delle due cellule figlie. Fu lui a dividere la mitosi in fasi e attribuire loro dei nomi ancora in uso oggi come profase, metafase e anafase.
Proprio i suoi studi, la riscoperta e l'ampliamento della genetica mendeliana, indirizzarono gli scienziati verso i cromosomi come portatori dell'informazione genetica.
La riscoperta della genetica mendeliana
I primi anni del '900 furono fondamentali per i progressi nell'individuazione, all'interno della cellula, degli elementi responsabili dell'ereditarietà.
Da un lato nacque la genetica, con la riscoperta, la strutturazione e l'ampliamento della genetica mendeliana.
Dall'altro la citologia fece luce su un altro meccanismo di divisione cellulare, responsabile della formazione delle cellule riproduttive, i gameti: la meiosi.
In poco tempo gli scienziati si resero conto che i cromosomi si comportavano, durante la divisione meiotica, come le unità genetiche ipotizzate da Mendel:
- Ogni coppia di cromosomi si divide e i due cromosomi omologhi si separano, segregano, indipendentemente l'uno dall'altro e si assortiscono con i cromosomi delle altre coppie.
- Ogni gamete riceveva solo uno dei due cromosomi di ogni coppia
- I gameti, cellule uovo e spermatozoi, fondevano il proprio patrimonio genetico dimezzato per ricostituire un patrimonio genetico completo, due copie per ogni cromosoma, nello zigote.
Lo stesso procedimento che aveva ipotizzato Mendel con le leggi della segregazione indipendente e dell'assortimento indipendente.
I primi a gettare le basi per la teoria cromosomica dell'ereditarietà furono Theodor Boveri e Walter Sutton, con le loro scoperte sul processo di divisione cellulare chiamato MEIOSI.
La Meiosi
Theodor Boveri in alcune osservazioni sulle uova e gli embrioni dei ricci di mare, genoma costituito da 36 cromosomi, alla fine dell'ottocento aveva riscontrato che, durante la formazione dei gameti, ogni cromosoma manteneva la propria integrità e il numero totale di cromosomi veniva dimezzato. Ogni cellula uovo e ogni spermatozoo aveva quindi metà cromosomi rispetto alle normali cellule dell'organismo.
Inoltre per verificare che ogni cromosoma fosse unico e indispensabile per l'embrione nascente, aveva effettuato delle fecondazioni di cellule uovo con doppi spermatozoi. In questo modo lo zigote riceveva un numero non convenzionale di cromosomi.
Nel corso dello sviluppo solo gli embrioni che perdevano i cromosomi in eccesso e mantenevano un numero stabile di 36 cromosomi erano vitali e sviluppavano correttamente. Tutti gli altri embrioni con numero di cromosomi variabile non erano in grado di effettuare uno sviluppo embrionale completo.
Questa linea di studio fu portata avanti da Walter Sutton, sui cromosomi della cavalletta. L'insetto ha la particolarità di avere dei cromosomi che hanno delle forme peculiari distinguibili al microscopio.
Sutton si rese conto che non solo i gameti ricevono un corredo dimezzato di cromosomi ma ricevono necessariamente UNA COPIA di ciascun cromosoma. Dalla fusione dei gameti durante la fecondazione gli embrioni quindi ricevono DUE COPIE di ciascun cromosoma, una dallo spermatozoo e una dalla cellula uovo. C'era quindi una perfetta analogia tra il comportamento dei cromosomi e quello degli alleli e dei geni mendeliani.
Walter Sutton fu quindi il primo a proporre la teoria cromosomica dell'ereditarietà: I geni sono localizzati sui cromosomi e i cromosomi segregano e si ricombinano con lo stesso schema dedotto da Mendel nei suoi esperimenti di genetica che, come detto prima, erano tornati in auge e ampliati da una nuova generazione di genetisti.
La Dimostrazione della teoria cromosomica dell'ereditarietà
“ Thomas Hunt Morgan e la Drosophila Melanogaster - 1911-1915 „
Come detto precedentemente i primi anni del '900 videro un rifiorire della genetica e, finalmente, il riconoscimento del lavoro di Mendel, portato avanti e strutturato da un nutrito gruppo di scienziati in ogni parte del mondo.
La sfortuna del monaco Boemo era stata l'impossibilità di avere un supporto fisico e solido alla sua teoria. Ora i tempi erano cambiati e le scoperte elencate sopra erano una buona base per riprendere scientificamente gli studi.
Hugo DeVries, Carl Correns e Erich von Tschermak si applicarono agli studi di ereditarietà delle piante e giunsero indipendentemente l'uno dall'altro alle stesse conclusioni di Mendel di quasi quarant'anni prima. Un ulteriore merito di questi tre studiosi fu quello di attribuire a Mendel il riconoscimento per essere stato un pioniere inascoltato della disciplina.
Nel 1905 William Bateson usò il termine genetica per discutere gli esperimenti di Mendel e introdusse i termini fenotipo (effetto visibile del gene) e genotipo (assetto genetico dell'individuo).
Nel 1909 il botanico Wilhelm Johannsen introdusse per primo il termine GENE per descrivere l'unità ereditaria mendeliana.
Ci vollero però alcuni anni di dibattito per accettare che i geni mendeliani potessero essere localizzati sui cromosomi, con un classico esempio di come uno scienziato illuminato non si lasci deviare dalle sue convinzioni.
Nel primo decennio del '900 Thomas Hunt Morgan iniziò i suoi esperimenti con il moscerino della frutta, la Drosophila Melanogaster, un modello di studio particolarmente adatto: la mosca ha solo 4 coppie di cromosomi e per di più, i suoi cromosomi sessuali X e Y, un meccanismo di determinazione del sesso simile al nostro, sono facilmente riconoscibili: le femmine portano due cromosomi X, XX, e i maschi un cromosoma X e un cromosoma Y, XY.
Parlerò di questi esperimenti più in là nella sezione di genetica quando avrò terminato la trattazione della genetica mendeliana.
1915 - Morgan e i suoi allievi dimostrarono inequivocabilmente che i geni erano ospitati sui cromosomi, inoltre introdussero il concetto di mappa genica per misurare la distanza dei geni sul cromosoma in base alla frequenza di ricombinazione durante il crossing-over.
Dedicherò agli esperimenti di Morgan alcune pagine nella sezione di genetica una volta terminata la trattazione della genetica mendeliana.
La cosa interessante è che Morgan era un convinto detrattore della Teoria Cromosomica dell'Ereditarietà e invece i suoi esperimenti dimostrarono inequivocabilmente che i geni erano situati sui cromosomi. Da scienziato illuminato accusò il colpo, accettò le evidenze scientifiche senza imbrogliare e diede una spinta sostanziale al progredire della genetica.
La natura biochimica dei geni
Ora che Morgan e allievi avevano dimostrato che i geni erano situati nei cromosomi il dibattito divenne squisitamente biochimico.
Quale delle molecole presenti nei cromosomi era responsabile dell'ereditarietà?
Oggi sappiamo tutti che è il DNA ma cento anni fa ben pochi erano pronti a sostenere questa tesi. Ci vollero altri trent'anni, una serie di esperimenti raffinati, una sintesi mirabile ad opera di Watson e Crick nel 1953, per convincere il mondo scientifico, come vedremo nelle prossime pagine.
appunti
dal nucleotide al polinucleotide (3)
articoli
Dna: l'informazione digitale che rivoluzionerà la terapia clinica dei prossimi 50 anni (2003)
"Grandi interessi economici dietro l'identikit del Dna" (2000)
"Abbiamo decifrato il genoma umano" (2000)
"Non hanno mappato il genoma umano" (2000)
Obbiettivo genoma I privati si alleano (2000)
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